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Il Taglio in cucina ed a tavola

È comune pensare che l’azione di taglio di un cibo non ne modifichi il gusto. Ovvero, si tende a pensare che il tagliare il cibo, sia in preparazione che durante il consumo a tavola, non sia altro che separare un pezzo più piccolo da un pezzo più grande.

In realtà non è proprio così e possiamo fare alcune semplici riflessioni:

  • tagliare con un coltello inadatto o poco affilato tende a spremere il cibo durante l’azione di taglio tanto da provocare la fuoriuscita di liquidi che sono gusto e nutrimento. L’esempio più classico è il taglio di una bistecca con coltello seghettato, ma vale anche per verdure ed altre pietanze.
  • una seconda osservazione, proveniente dalla cultura giapponese e più cerebrale, consente di osservare che quando il cibo proviene da un animale che è stato ucciso per destinarlo alla nostra alimentazione, tagliarlo maldestramente o ancora peggio con un coltello che non taglia sarebbe sottoporlo ad un’inutile ulteriore violenza: insomma ucciderlo ancora una volta. L’azione di taglio è un rito così importante nella cultura giapponese che avviene su un tagliere che ha la forma di un altare, rialzato rispetto al piano di appoggio, proprio a sottolineare l’alto valore simbolico del sacrificio imposto ad un essere vivente per il nostro sostentamento.

Tale azione è addirittura riservata allo Chef, che funge da “sacerdote”, ed avviene in cucina o davanti ai commensali ma il consumo a tavola non prevede l’uso di forchetta o coltello, che sono considerati un modo incivile di trattare il cibo. D’altra parte, anche nell’Italia rinascimentale si dava grande importanza al taglio a tavola, tanto da far nascere una figura che oggi considereremmo professionale, il Trinciante, ovvero colui che trincia, che taglia.

Il principe dei coltelli tradizionali italiani da cucina si chiama ancora oggi trinciante proprio perché era lo strumento più usato nel Rinascimento da tale figura.

Il Trinciante aveva il compito di tagliare in maniera teatrale e spettacolare i cibi che giungevano dalla cucina in occasione dei banchetti, su un apposito tavolo davanti ai commensali, in maniera tale da offrire loro cibo che potesse essere consumato con l’uso delle mani, che fosse bello da vedere, ma soprattutto selezionando le parti in relazione al rango del commensale cui erano destinate.

Tale figura è stata così importante per alcuni decenni tanto da far arricchire alcuni di loro e far fiorire dei libri che descrivevano in quale modo il Trinciante dovesse agire. Il più famoso di questi si chiamava Vincenzo Cervio che è passato alla storia per aver scritto nel 1593 un volumetto intitolato appunto Il Trinciante. (Se ne trova una edizione in ristampa anstatica – Editore Forni).

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